Giacomo Azzoni in maglia Came Dosson (foto Facebook Came c5)
Giacomo Azzoni fa parte di quella nuova generazione azzurra che avrà il compito di costituire lo zoccolo duro della Nazionale italiana, malgrado bruci ancora l’eliminazione dal Mondiale 2020. Un talento sui parquet (e, si dice, anche nel trafiggere cuori femminili…), reale prodotto della nostra scuola calcio a cinque, visto che non ha mai avuto esperienze nel calcio: “Ho sempre giocato a futsal, sin da quando avevo 6 anni. Dopo la trafila giovanile nella Fenice VeneziaMestre ho iniziato il mio girovagare: ad Asti non ho avuto molto spazio, ma la fortuna di giocare insieme a straordinari campioni. Poi a Pescara l’impatto con Colini è stato duro, perché lui pretende tantissimo e ci ho messo un pochino ad abituarmi. Il suo stile di gioco a uomo mi è sempre piaciuto, anche perché lo avevo già conosciuto da ragazzo con Luigi Pagana nella Fenice”.
Un amore con il calcio a cinque che per un attimo, però, aveva messo in crisi Azzoni: “Avevo pensato anche di mollare durante il secondo anno di Pescara, quando sono tornato poi alla Fenice. Quello è stato il momento in cui ho pensato se fosse ancora il caso di continuare a crederci, oppure magari fare un passo indietro e costruirmi un futuro con un altro lavoro. Poi arrivò la chiamata della Meta Catania, decisi di accettare e ritrovai definitivamente l’amore per il calcio a cinque. La Came Dosson era da qualche anno che mi cercava, la scorsa estate c’è stata finalmente l’occasione di trovare una comunione d’intenti. Sylvio Rocha è un allenatore straordinario, come uomo ancora di più perché è bravissimo e simpaticissimo a gestire il gruppo. Un ambiente genuino in tutto e per tutto”.
Un capitolo aperto, apertissimo, è quello legato ai colori azzurri che hanno visto Azzoni spesso sfortunato protagonista: “Vero, ma se devo farmi male per la maglia azzurra, mi vorrei far male altre cento volte…Alla Nazionale in realtà non avevo mai pensato quando ero più giovane. Poi, piano piano, ho iniziato a migliorare e quando ci sono arrivato è stata una sorpresa: stare accanto a campioni come Merlim, Mammarella o Ercolessi era per me uno shock. L’intensità e la resistenza fanno la differenza, più si sale di livello e più diventa difficile. A maggior ragione in campo internazionale”.
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