Alessio Musti a far le veci dell'assente forzato Tino Perez, insieme a Montemurro e Ulivieri (foto Facebook FIGC)
Non c’è dubbio che quando viene assegnato un premio come può essere la Panchina d’Oro c’è chi storce il naso e chi si alza in piedi per applaudire. Sarà capitata la stessa cosa anche ieri quando presso il Centro Tecnico di Coverciano è stato premiato l’allenatore dell’Acqua&Sapone Tino Perez per la stagione 2017-2018. L’ambizioso premio inserito nel mondo del futsal italiano da appena due anni, ha visto vincitori fino adesso due tecnici spagnoli. Non si mettono in discussione le doti e le competenze sia di Marin che di Perez, ma è chiaro che il movimento italiano ne esca sconfitto da questo riconoscimento. E’ vero sicuramente che il futsal italiano sia anche cresciuto grazie all’apporto di allenatori stranieri che hanno introdotto e importato idee e modi di lavorare, in grado di fungere da battistrada anche per altri colleghi. Ma la Panchina d’Oro deve essere sempre assegnata a chi vince di più? Oppure a chi raggiunge traguardi importanti in base al materiale che ha a disposizione? Personalmente alzo la mano per la seconda opzione, per chi svolge questa attività in silenzio, con passione, raccogliendo soddisfazioni quotidiane al di fuori dei grandi riflettori. Sono coloro che rimangono nell’ombra, ma nel loro piccolo vengono e verranno sempre illuminate, non dalle prime pagine dei giornali ma dalle persone con cui lavorano. Questo è un mondo sommerso. Magari la bacheca dei trofei non sarà la stessa di un allenatore da top club, ma la gestione del gruppo e la capacità di insegnare futsal ai giovani di molti tecnici “minori” potrebbe fare invidia a parecchi colleghi più blasonati.
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